Indovina chi viene a cena è un progetto di Vite in transito, iniziato nel 2018 a Viserba, con un evento ospitato nel salone della parrocchia: le socie di ViT hanno offerto un aperitivo solidale e musicale, a cui hanno partecipato molti/e abitanti di Viserba, cittadini/e riminesi e richiedenti asilo, un centinaio di persone, tra cui 20 ragazzi africani.
La proposta che abbiamo fatto è semplice: una famiglia italiana invita a cena, o a pranzo un richiedente asilo, ospite di un centro di accoglienza, gestito da cooperative. Delle cooperative interpellate hanno risposto Terre solidali e Cento fiori, e ringrazio particolarmente le operatrici, Sara Frisoni, che lavorava con Terre solidali, Camilla Pacassoni e Federica Soglia, senza il cui lavoro volontario, questa esperienza non avrebbe potuto nascere.
Il contributo delle cooperative è importante, perché hanno una funzione di mediazione, come la nostra associazione. Sono le operatrici e gli operatori delle cooperative che individuano i richiedenti asilo interessati e noi di ViT siamo referenti delle famiglie accoglienti: insieme si trova l’abbinamento tra richiedenti asilo e famiglie o single disponibili ad aprire la propria casa e il proprio cuore, a condividere la propria tavola con uno straniero.
È un’esperienza di integrazione, un’integrazione reciproca, al di là della accezione diffusa, per cui è solo lo straniero che deve adattarsi a noi e alla nostra società, cambiare abitudini e mentalità.
In realtà da alcune ricerche risulta che, c’è un’integrazione piena, quando una famiglia autoctona invita lo straniero alla sua tavola, un convito- un vivere insieme.
L’esperienza di convivialità e condivisione si è rivelata ricca e nutriente – un nutrimento delle anime – tanto che le persone che l’hanno fatta, si sono attivate per farla conoscere e coinvolgere amici e parenti.
Il progetto è così cresciuto e si è allargato. In un incontro collettivo cittadino, un pranzo condiviso nella sala del quartiere di Viserba, il 27 gennaio 2019, c’erano un centinaio di persone, tra italiani/e e richiedenti asilo. Nuove persone, nuove famiglie hanno dato la disponibilità a ospitare e nuove cooperative-CAD e Ardea hanno aderito.
Nel frattempo si è creata la rete di Rimini Umana, persone impegnate nel sociale, che hanno dato vita a una raccolta di firme per chiedere l’iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo. Molte persone coinvolte nel progetto Indovina chi viene a cena, fanno parte di questa rete.
Da questa sinergia è nato questo convegno delle famiglie accoglienti.
Nel prepararlo, abbiamo scoperto che a Rimini e nel nostro territorio ci sono molte famiglie che vivono questa esperienza di accoglienza, di ospitalità e convivialità con richiedenti asilo. Molte di queste persone, fanno parte di associazioni e movimenti cattolici.
È evidente che questo convegno ha già dato un frutto: mettere in connessione realtà diverse.
Un altro frutto è dare voce e risonanza a cittadini/e italiani/e, che, non solo resistono alla marea montante di paura, pregiudizi, odio, logiche e comportamenti discriminatori, ma che affermano la parità di diritti e dignità tra se stessi e gli stranieri: persone che scelgono di stare dalla parte dei migranti, che vuol dire stare dalla parte degli esclusi, in nome o della fede cristiana o della comune umanità, per scoprire, in nome della costituzione italiana, di essere tutti e tutte dalla stessa parte.
Ci muove la consapevolezza che siamo tutti fragili e vulnerabili, che siamo tutti e tutte nella stessa barca, non possono più esserci i sommersi e i salvati.
Viviamo e proponiamo un elemento di speranza, praticando questa particolare forma di convivialità. Esperienza di convivialità della tavola, delle menti, dei cuori. Attraverso l’ospitalità lo straniero diventa familiare. Chi condivide lo stesso cibo, fa parte della famiglia, diventa un fratello, un amico, un nipote. Rito ed esperienza di fraternità.
La convivialità ha un valore sacrale.
Spezzare il pane insieme crea legami, crea comunità- è esperienza di comunione.
Domenico Quirico (Esodo, storia del nuovo millennio. Neri Pozza) nel suo racconto Il mare scrive che, nella traversata del mare Mediterraneo dalla Libia a Lampedusa fatta insieme a 100 migranti, ha sperimentato, come loro, la paura della morte, e ha condiviso il pane e l’acqua con un ragazzo tunisino, e definisce questa esperienza comunione.
Un’esperienza di condivisione e di comunione, che trasforma le persone che la vivono e la società.
Questo incontro di persone e di culture risponde a un bisogno della storia presente. E’ quindi un fatto profondamente politico.
Risposta a un bisogno sociale e personale.
L’esperienza di Indovina chi viene a cena risponde a un bisogno dei migranti, che soffrono lo spaesamento, la solitudine, e soffrono per il fatto di essere oggetto di pregiudizi e discriminazione, di essere invisibili. Hanno un bisogno vitale di riconoscimento, di calore, di entrare a far parte di una comunità. Bisogno di comunione, di casa, come ET, il bambino extraterrestre del film di Spielberg, che, dimenticato sulla terra dai suoi, invoca Casa, cioè famiglia, comunità.
I migranti hanno bisogno come noi del pane e delle rose.
Anche gli italiani e le italiane che ospitano e accolgono i richiedenti asilo e i rifugiati rispondono a un bisogno personale. Bisogno di apertura: vivere una relazione di prossimità non convenzionale. Quello che eleggo a mio prossimo, a mio ospite non fa parte della mia famiglia, non è uno dei miei amici. Come nella cultura araba l’ospite è uno sconosciuto che entra per la prima volta in casa mia. Bisogno di conoscenza: conoscendo l’altro, conosco me stesso; conoscendo un’altra cultura con le sue risorse, divento più consapevole delle risorse della mia cultura. Bisogno di cura: l’assunzione di responsabilità rispetto ai problemi della società in cui viviamo diventa cura dell’altro e cura di se stessi e quindi cura del mondo.
Le buone relazioni personali hanno una ricaduta sociale; i migranti che si sentono riconosciuti e accolti si sentono “più vicini agli italiani”, sentono di far parte della società italiana.
Questa piccola esperienza di Indovina chi viene a cena alimenta la speranza che sia possibile costruire una comunità, dove ci sia posto per tutte e tutti, dove la dignità e diritti di ognuno siano riconosciuti e rispettati, dove ogni cultura con le sue risorse sia valorizzata.
Siamo però consapevoli che questo processo incontra anche ostacoli, come dice il titolo di una raccolta di saggi di Chinua Achebe ( Speranze e ostacoli, Jaca Book).
Un ostacolo è la paura, la paura dello straniero, che ci abita.
Certo, c’è la propaganda xenofoba e razzista della destra, che crea il mostro e il nemico e in questo modo alimenta la paura. Ma alimenta qualcosa che è già dentro di noi.
Abbiamo paura del diverso, dell’alieno che ci rappresentiamo come pericoloso, perché lo viviamo come minaccia alla nostra integrità e alla nostra identità. Ma è vero che noi abbiamo un’identità personale e culturale compatta e definita? Il rifiuto dello straniero si coniuga con una visione rigida della propria identità; questa rigidità nasconde la fragilità e l’insicurezza.
In realtà l’altro fa parte di noi; il poeta Rimbaud dice: Io è un altro. Noi siamo fatti di tutte le relazioni che abbiamo vissuto. Abbiamo un’identità plurale, un’identità dinamica.
Tra gli altri, ha indagato questa tematica del rapporto tra identità e alterità Julia Kristeva. Psicoanalista, semiologa, filosofa e scrittrice, nata in Bulgaria, naturalizzata francese, nel 2014 ha ripubblicato con l’editore Donzelli il suo bel libro Stranieri a noi stessi, con una sua nuova introduzione L’Europa, l’altro, l’identità. Kristeva indaga la figura dello straniero; dopo un excursus sulla storia della percezione, della legislazione, della condizione dello straniero nella cultura europea, dall’antichità alla dichiarazione dei diritti dell’uomo, ai nostri giorni, si concentra sul pensiero di Freud, e sul saggio Il perturbante. Quello che ci perturba è quello di noi che non conosciamo, e riconosciamo, l’inconscio; residui di esperienze traumatiche che rimuoviamo, sentimenti egodistonici (desideri, rabbia, odio) che non riusciamo ad accogliere nella nostra coscienza e che proiettiamo sugli altri. L’altro, oggetto delle nostre proiezioni, diventa il nemico.
Dunque, siamo stranieri a noi stessi, la stranierietà, la diversità, che ci inquieta, ci abita. Proprio perché lo straniero è in noi, siamo tutti stranieri, noi e gli altri. A partire dalla consapevolezza di questa comune condizione, possiamo aprirci alla umana solidarietà, vivere con gli altri.
Al di fuori di logiche paternalistiche e assistenzialistiche, sperimentiamo che nell’incontro con lo straniero recuperiamo qualcosa di noi, che ci era estraneo e sconosciuto; diventando amici dello straniero, possiamo diventare amici di noi stessi.
Per terminare una poesia, emblema di Vite in transito: con il poeta Bertold Brecht pensiamo e sperimentiamo che la condivisione è generativa.
Mi fai spuntar le lagrime, fratello,
vedo che la tua vita non è allegra.
Ecco una mela: io ne possiedo tre,
perciò una la regalo a te.
Non ci vedo niente di eccezionale:
e l’uno e l’altro possiamo vivere.
Solo i semi, promettimelo,
avido non inghiottirli,
sputali invece a terra
prima che mi allontani.
E se poi cresce un melo
dentro il tuo campicello vieni a prenderti i frutti:
è il tuo albero, quello.
da I viaggi del dio della felicità
Grazie a tutti e a tutte quelli che hanno fatto e fanno vivere questo progetto e questa esperienza.